Manifesto dell’astrattismo classico
1. L’arte non è teoria, almeno alla sua origine, per l’artista operante, ma pratica; e dal punto di vista del lettore, dello spettatore, non è rappresentazione, ma fatto.
L’artista interviene nella realtà, la sua parola rivolta agli uomini tende a modificare quella realtà: di questa sua parola, di questo suo intervento egli è responsabile.
2. Invitiamo gli artisti a prendere coscienza della loro posizione nella società, a domandarsi per chi essi lavorano, quale uomo sia quello che le loro opere esprimono, di quali relazioni sia esso capace, quale sia insomma la loro intuizione. Li invitiamo a confessarsi, a lasciare gli studi, a scendere fra gli uomini vivi, fra quelli di cui è l’avvenire. Tutti i misteri che sviano l’arte verso il misticismo trovano la loro soluzione razionale nell’attività pratica umana e nella concezione di questa attività pratica.
3.I movimenti artistici validi degli ultimi cento anni (e validi non solo in una storia sociologica dell’arte] si sono presentati sempre con un programma attivistico, d’intervento. Dagli impressionisti che assunsero come strumento di conoscenza “la percezione, l’urto cieco e immediato contro l’oggetto”, ai cubisti che distrussero l’oggetto cercando di esaurirne la conoscenza in un paradosso trascendentale.
4. Bisogna notare tuttavia che se l’intuizione deve affondare le sue radici sul solido terreno dell’attività pratica, in una concreta realtà, l’espressione, il linguaggio, non possono essere casuali, ma impongono un lavoro centuplicato e un’acuta coscienza storica: l’esigenza morale e politica vale solo se trasportata sul piano concreto di una raggiunta espressione.
5.La logica conseguenza stilistica, maturatasi in una più chiara coscienza morale, dei movimenti interventistici dell’arte moderna è l’astrattismo classico. In esso si può cogliere la fine della volontà di distruzione dell’oggetto e l’inizio di un intervento attivo e costruttivo, di una integrazione del reale. Esso crea un mondo, e i rapporti morali che esso postula sono chiaramente leggibili, la sua funzionalità non è che la volontà di rendere chiari e dominabili i sentimenti, il suo impegno sociale è risolto nell’espressione.
….Il nostro impegno è stato ormai da molti anni di chiarire per mezzo della vita alcuni problemi d’arte e non viceversa com’è consuetudine. Questa situazione di fondamento ci ha posti indubbiamente in una condizione favorevole nei confronti di altri, in quanto ci ha permesso, attraverso l’esperienza politica collettiva, di eliminare quanto di irrisolto, di problematico, ci veniva trasmesso come retaggio dalla cultura italiana, precisiamo, dall’arte italiana. Di fronte al quietismo politico di tanta nostra tradizione, al desiderio diffuso di solo interpretare un mondo, di descriverlo, presentando come scontati gli atteggiamenti definiti attivistici, era naturale la nostra posizione su un piano europeo e non più provinciale, sul piano di una moralità che c’impegnasse non più a interpretare e a descrivere ma a intervenire sulla realtà. E su questo piano (politico) ci sarà ormai agevole affermare che “tutto il movimento artistico che parte dall’Impressionismo ed arriva fino a Picasso si fonda, infatti, sulla persuasione che l’arte non sia rappresentazione ma fatto” (Argan) e che è merito degli Impressionisti l’aver polemicamente effettuato una frattura intervenendo nella realtà, quale veniva intellettualisticamente concepita, con l’assumere come strumento di conoscenza “la percezione, l’urto cieco, immediato e violento contro l’oggetto”…Il neorealismo non risolve il problema espressivo, egli elementi dei vari lessici, cubista, fauve, espressionista, tonale, non riescono a costituirsi in linguaggio; nella fretta di esprimere un contenuto l’espressione stessa si dissecca, il problema genuinamente pittorico viene lasciato cadere…Per questo fin dal 1947, ci siamo posti su un’altra strada con sicurezza. Esaurita l’esperienza distruttiva, dovevamo ricominciare daccapo, tracciare di nuovo sinceramente una linea…Per dichiarare il modo del nostro intervento ci impegnammo a costruire forme nuove di un mondo nuovo…
Una nuova realtà: più chiari sentimenti esprimevamo, semplificati dalle componenti irrazionali, e resi tipici, collettivi cioè universali. Fummo animati da spirito razionalista, parlammo con qualche eccesso e qualche ingenuità, di, funzionalismo, ma erano motivi per rinsaldare con idee massimamente concrete la nostra intuizione che venivamo via via approfondendo. E nel momento stesso in cui per noi alcune, pochissime opere raggiunsero una reale espressività, quando trovammo veramente un linguaggio, ci accorgemmo di avere ora attuato quell’intervento nella realtà che era stato il nostro programma, di avere ora costituito il nuovo mondo pittorico come un’arma, come una teoria. La nostra reale poetica non può essere dunque che nelle nostre opere stesse…e all’opera in definitiva noi rimandiamo per il suo contenuto politico, per la realtà ch’essa nega, per la realtà ch’essa pone…Poichè la nostra pittura è stata definita come astratta, converrà dichiarare quanto la nostra posizione si distanzi dalle nostre opere che indiscriminatamente vengono sussunte allo stesso concetto di comodo..Di fronte a quanto di irrisolto, di immediato, di romantico dunque si rivela nell’arte astratta e nelle sue poetiche, sentiamo il bisogno di definire la pertinace mediatezza della nostra opera, la sua pensosità, ma soprattutto la nostra volontà di una completa espressione, la nostra classicità. La dichiarazione di fiducia nell’attività pratica, il nostro lavoro che abbiamo definito funzionale, ma non in una gretta accezione, piuttosto diremo cosciente dei suoi legami, della rete di relazioni che con esso si stabilisce con gli altri uomini, ci pongono su un piano di concretezza da cui per forza ci si deve opporre alle forme d’arte agitate, nella loro rozzezza pratica, dal sentimento e dalla passione e che per compiacimento autobiografico si invischiano in uno spasimo che può essere denso di suggestioni ma cui è anche preclusa ogni visione di verità.
Vinicio Berti, Bruno Brunetti, Alvaro Monnini, Gualtiero Nativi, Mario Nuti, Manifesto dell’astrattismo classico, Firenze, 1950 (Testo di Ermanno Migliorini)